mercoledì 1 febbraio 2017

La recensione - Il regno d'inverno - di Marina Manai



Il regno d'inverno - Winter Sleep - di Nuri Bilge Ceylan

Più che un film, è uno spettacolo da incontrare, anche fortuitamente, come una quercia centenaria o un ciclopico cumulonembo nel cielo.
O come un formidabile romanzo.

Ceylan sembra ascoltare in ogni istante il rumore perenne dell’eternità, trasforma la provincia in un altrove misterioso, sembra sapere che in uno sguardo si celano sempre più cose di quelle che si trovano tra cielo e terra.
Il gelo blocca e conserva, ha l'aspetto grigio di una verità già consumata, di una promessa sospesa.
Eppure, al suo interno, la vita continua a pulsare. Disperatamente, senza pietà, scandendo la durissima prosa di un'anima prigioniera.

E’ un cinema che non scende a compromessi, quello di Nuri Bilge Ceylan, trionfatore a Cannes 2014,
che non concede veramente nulla allo spettacolo.
Tre ore e sedici minuti, ma è un sacrificio consapevole, sublimato dalle molte, abituali sequenze con cui Ceylan riesce a descrivere, in silenzio, la potenza simbolica di un contesto commovente, rurale, mai scalfito dal passare del tempo.
Paradossalmente, è con la parola, con la staticità di infiniti dialoghi, che il regista di Uzak chiede lo sforzo maggiore allo spettatore. Ma è solo affidandosi ad essa, alla teatralità di argomentazioni a volte futili, a volte necessarie per comprendere la reale natura dei tanti personaggi, che la narrazione procede verso un’apparente risoluzione...

Stupendo!! Mi piace definirlo (senza intaccare le diverse personalità) un Bergman dell'Anatolia...